Budapest

C’è qualcosa in Budapest che merita d’esser raccontato. Questa non è una guida di viaggio, ma il racconto di una città vista in 3 giorni, da occidente. Tutti i piatti segnalati sono tipici e vegetariani.

A Budapest i palazzi sembra stiano crollando, i muri sono stati grattati dal vento e dal tempo, dell’impero Austro-Ungarico resta l’imponenza, la maestosità dei monumenti; mentre di noi che la visitiamo resta il racconto di giornate fredde e di luoghi di una bellezza devastante immersi in palazzi che sembrano bombardati dal tempo. La lingua ha un suono meraviglioso, e camminando per ore le foglie che pestiamo ci ricordano il freddo di questa stagione di mezzo.

Budapest è piena di nuvole che si disgregano lungo il fiume, di guanti rosa da bambina poggiati sul parapetto di pietra, lì dove si riflettono le poche luci dei monumenti. All’arrivo sembra una città buia, poi gli occhi si adattano e tutto sembra normale. I locali con le vetrate rotte e scheggiate nei quali non riusciamo a rifletterci, non restituiscono le nostre immagini stanche di turisti occidentali con macchine fotografi e cellulari senza internet.

[In alto c’è il castello di Buda e a destra il ponte delle catene]

Proviamo a farci una foto insieme, davanti ai monumenti con dei nomi che non riusciamo a pronunciare, che non ho ancora imparato e che ogni volta cerco su google. La pioggia cade lentamente, sottile e a tratti, camminiamo sul bagnato mentre ci sono persone che fanno jogging in pantaloncini come se fosse piena estate.

Abbiamo affrontato il 1885, anno di inizio della costruzione del parlamento (Országház), per ritrovarci tra i murales e gli starbucks. La sede del parlamento è imponente, ti crolla addosso come la fine di un impero. Le luci gialle rendono dorata una delle opere più belle che io abbia mai visto. Si affaccia sul fiume per mostrare a chi arrivava la forza e la maestosità. Ora a Budapest ci si arriva in aereo, e quindi al parlamento ci si va a piedi, ma l’imponenza resta e lo splendore anche, ma dai voli internazionali il palazzo si perde e nella globalizzazione la storia è un puntino all’interno della città vista dall’alto.

[Országház – Palazzo del parlamento ungherese]

Ma tutto ciò che rimane della storia finisce solo nell’architettura, nell’arte e nei piatti che mangiamo. A Budapest è facilissimo assaggiare sapori diversi da quelli italiani, il tejfö (una specie di panna acida) è ovunque, dallo street food ai piatti dei pub. Il cibo costa poco ed è facile trovare cose tipiche anche per strada nei take away che si impongono nonostante il freddo, nonostante la bellezza dei locali nei quali mangiare, nonostante la tradizione.


[Lángos]

L’esordio è stato il Lángos, una frittella, grande quanto un piatto, con il formaggio e il tejfö. Assicuratevi che le frittelle siano calde e fatte da poco e che vi piaccia la panna acida, altrimenti insieme il risultato potrebbe non essere dei migliori, come in questo caso. Le casette in legno dei locali di street food erano ancora in costruzione, il natale sta per arrivare a ritmo di martellate e di porte prefabbricate montate tra una pioggia e l’altra. Altra cosa tipica dello street food (in piazza Vörösmarty) è  il tökipompos. Una focaccia abbastanza alta con tantissimo condimento, abbastanza da riscaldare chi la mangia. Il freddo impone diete grasse, alcolici e i volti delle persone si adattano, a tutto ci si adatta, ed è forse anche questa la bellezza.

Continuando a camminare sotto la pioggia e tra i palazzi pieni di murales, abbiamo visto la basilica di santo stefano, il ponte delle catene (Széchenyi lánchíd), e nei giorni successivi il ponte delle libertà (Szabadság Híd), il bastione dei pescatori (Halászbástya) e altre chiese e palazzi.

Nelle terme invece, tutto è tranquillo, tutti arrivano con calma, si spogliano e vanno a rilassarsi. È un luogo nel quale tutti sembrano uguali. Ci sono moltissimi turisti, nelle terme di Széchenyi (Széchenyi Gyógyfürdö), tra le più antiche di Budapest. Tutti con i loro braccialetti consegnati all’entrata e con i costumi colorati decathlon che rimandano ad una estate che non c’è, tutti che affrontano i 10 gradi esterni per entrare nelle vasche all’aperto con acqua a circa 30 gradi. Il palazzo è antico, forse dovrebbe essere ristrutturato, ma tiene. Le vasche sono belle, pulite, quasi nuove, il vapore si disperde nell’aria andando a mescolarsi con le nuvole esterne.


Bagni termali di Széchenyi (Széchenyi Gyógyfürdö)

Le piscine coperte, nelle quali signore di Budapest fanno acquagym, si alternano ad altre piscine termali con acqua a circa 36 gradi. Vecchi e ragazzi insieme, gente che si fa foto da pubblicare su facebook e persone che cercano di ritardare la morte ancora di qualche anno.

Ma è sul cibo che bisogna tornare, perché è lì che c’è qualcosa in più rispetto a quello che si può vedere e sentire, è nel Gombapaprikás mangiato in un locale un po’ fuori dal centro, che si capisce la bellezza di questa regione. I funghi, anche questi onnipresenti, dominano la dieta, sono il segno dell’ombra, della pioggia, del terreno bagnato, dell’autunno.

Si vanno a mescolare con la Paprika. La Paprika è anch’essa ovunque, in bustine, pacchetti regalo, omaggi, sacchi, la paprica racconta questa città nell’essere tradizione e nel diventare regalo. La paprika è una polvere rossastra. C’è sia dolce sia piccante, quasi mai piccante, in realtà.

Seduto in un locale tipico/storico che si chiama Frici Papa mangio un piatto (il Gombapaprikás) che contiene (esclusa la carne) tutta la cultura locale.

Di questa città e della sua storia fanno parte anche gli Ebrei. Budapest durante la seconda guerra mondiale è stata una delle città dalla quale sono partiti più ebrei per i campi di concentramento, lo svuotamento ha avuto anche grosse conseguenze economiche, ma nonostante tutto gli ebrei ci sono e hanno una presenza forte nel quartiere più vivo della città. I simboli sono due, come sempre un luogo di culto e uno nel quale mangiare.


La sinagoga grande (Nagy zsinagóga)

La sinagoga grande è appunto la più grande d’Europa, imponente anch’essa come il parlamento, forse è un’altra ala politica della città, ma questo da turista non l’ho scoperto, ciò che da turista mi è consentito fare, nel rispetto del luogo, è portare un sassolino simbolico sul cimitero ebraico alle spalle della sinagoga. È stata costruita tra il 1854 e il 1859, quindi prima del parlamento, questo a riprova della sua importanza nella città.

I monumenti contenuti all’interno, le lapidi, i sassolini, le targhe commemorative e i nomi degli ebrei scomparsi lasciano sempre il bisogno di fare silenzio. Non c’è molto da dire davanti a questa maestosità. Anche per chi non crede come me, è un luogo di fascino raro.

Lì alle spalle però c’è un locale nel quale il si incontra la cultura ebraica e si vede il suo essere contemporaneamente a parte e mescolata alla vita cittadina. Il locale si chiama Spinoza Café e sin dall’ingresso capisci l’eleganza con la quale si vuole vendere. L’immagine è estremamente diversa dagli altri luoghi, dai pub e dai ristoranti cittadini.


Spinoza Café

All’interno il pianista al pianoforte ti accoglie con delle melodie classiche e i camerieri ti accompagnano al tavolo con una gentilezza da grandissimo ristorante.

I prezzi anche qui sono bassissimi (circa 12 euro un pasto completo e abbondante), e i cibi sono misti, ci sono piatti kosher, piatti ungheresi, piatti della tradizione per vegetariani e di carne, tutti contrassegnati da immagini di animali (in caso di carne), V verdi in caso di vegetariani, bandiera ungherese per i piatti tipici e stella di David in caso di piatti kosher.

La complessità dei piatti e la ricchezza della composizione testimoniano la ricercatezza e la cura con la quale trattano tutti, dai turisti ai cittadini. In più di fronte al locale c’è una via piena di bancarelle e locali che collega in maniera quasi diretta Spinoza alla via dei negozi, quella con i grandi marchi dell’alta moda.

In ultimo non si può non parlare del locale in cui tutto sembra confluire, in cui cerchiamo di uscire, ma in ogni stanza ci fermiamo a guardare cosa succede, a guardare le persone cosa fanno, chi sono, da dove vengono. Szimpla kert è esattamente Budapest, ci sono cibi tipici, panini internazionali, carne, salse, da mangiare c’è tanto, sia di locale sia di internazionale, ma nessuno viene qui per mangiare, ci saranno all’interno del locale almeno 7 bar nei quali si può prendere qualsiasi cosa da bere, e ci sono circa una decina di stanze, forse anche di più, ognuna con la sua specificità e con la sua particolarità ti attrae. I muri sono grattati, rovinati, proprio come al di fuori, ma sono anche addobbati, pieni di decorazioni, così da diventare splendidi, esattamente come all’esterno.

Prima di tornare da questa città piccola e ambigua mi ricordo che in queste strade, tra queste vie e davanti a quel parlamento, è cresciuto Endre Ernő Friedmann, conosciuto come Robert Capa, uno dei più grandi fotografi mai esistiti, ma di lui in questa città non c’è una presenza forte, il museo di fotografia a lui dedicato non contiene nessuna sua foto, solo mostre temporanee di altri fotografi. In un altro piccolo museo invece troviamo le sue foto, saranno lì fino a Gennaio 2017, poi non so se la città rimarrà senza. Ci sono gli scatti più importanti, c’è il reportage dalla Spagna durante la guerra civile, c’è quello sulle coste della Normandia e ci sono le foto a Picasso.

Di Robert Capa e di Bela Tarr non c’è il bianco e nero, nella capitale ungherese. Prevalgono i colori dei costumi da bagno decathlon e dei murales, l’odore dei Kebab e delle spezie asiatiche. Gli aerei in cielo passano frequenti, il turismo è fortemente in espansione. Anche io sono un turista, e tanti come me. Non so se sia giusto così o meno, ma Budapest si lascia attraversare offrendo quello che le persone chiedono, ma negli atteggiamenti rapidi e decisi dei camerieri si può vedere ancora qualche traccia delle tradizioni, di qualcosa che non si adatta completamente all’ospitalità e alla globalizzazione.

 

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